Resisto alle lusinghe della vocina che mi invita a prendere il Carnevale come spunto per una digressione sull’attualità (teatro, maschere e Arlecchini sono cose serie, anzi, serissime), e arrivo subito al dunque.
Come nella pagina di uno scrapbook ho raccolto su Mnemosine di febbraio 2020 qualche idea sul tema, attingendo al mio archivio. Un modo per condividere con te l’insopprimibile voglia di evasione (!!!) che provo ogni anno in febbraio, ancora più pressante in questo 2021.

A come Arlecchina
Ecco un cimelio teatrale dei primi del ‘900: una gonna formata da un mosaico di riquadri di seta cuciti a mano in perfetto stile Arlecchino. L’ho acquistata molti anni fa da una coppia di antiquari di Bruxelles; apparteneva, mi dissero, al corredo di un’attrice, forse francese o forse belga, non riuscii a saperne di più. So solo che avrei voluto portar via l’intero baule, ma era davvero oltre le mie possibilità.
Mi limitai, si fa per dire, a due completi di velluto, un corpetto dall’impronta circense e appunto questa gonna, ottenendo in regalo dai due anziani signori un paio di giarrettiere viola, sempre di seta e guarnite da una decorazione di strass.
Come i due completi anche la mise da ‘Arlecchina’ dovrebbe essere opera di Paul Pouleur, costumista con atelier a Bruxelles attivo per circa cinque lustri a partire dagli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale.



A come Arlecchina
Poteva forse mancare la ricetta vintage della Dirce? No, e infatti ecco qua le castagnole in versione anni Cinquanta. I miei ricordi in materia risalgono a qualche tempo dopo (1975 o giù di lì) ma le castagnole di Annabella in cucina somigliano molto a quelle di mia nonna: golose come tutte le madeleines, per carità, ma cinque minuti dopo essere uscite dalla padella, per transitare verso lo stomaco andavano innaffiate con abbondanti dosi di liquidi. Forse perché la ricetta non prevedeva il lievito? O era per via dello strutto? Però che bontà quei cristalli di zucchero sulla loro superficie brunita.

Le castagnole (da Annabella in cucina, Rizzoli, 1960, con qualche variante casalinga, dalla tradizione della nonna Pina).
Dosi: 2 uova, 2 cucchiai di olio d’oliva (la nonna usava eguale quantità di strutto), 2 cucchiai di zucchero semolato (più quello per spolverizzare le castagnole), 150 gr. di farina 00, olio per friggere.
A piacere, un cucchiaio di anisetta o rum.
Preparazione
Mettete in una terrina le uova intere con i due cucchiai di zucchero, unitevi l’olio di oliva (o lo strutto) e lavorate tutto insieme (la nonna impastava sulla spianatoia, facendo una piccola fontana con la farina). Aggiungete poco a poco la farina (e l’eventuale liquore), in modo da formare una pasta piuttosto morbida ma non liquida.
Verserete a mezzo cucchiaino alla volta questa pasta in abbondante olio bollente e, via via, toglierete le castagnole quando saranno ben dorate disponendole su una carta asciugante.
Servitele calde, spolverizzate di zucchero (zucchero al velo vainiglinato nella ricetta di Annabella).
Domani, 2 febbraio, è la Candelora.
A Pesaro, da dove ti scrivo, il giorno durerà 9 ore e 56 minuti, un’ora in più rispetto al 21 dicembre scorso, data del Solstizio d’Inverno.
Resistiamo, ché prima o poi dovrà finire 😉
A presto,
Cristina
Il mondo è un bel libro, ma poco serve a chi non lo sa leggere.
Carlo Goldoni, La Pamela, 1750